Comencé a caminar por toda la costa del mar, pasando grandes trabajos y falta de agua, que no hallé en todo aquello de por allí. Topé en el camino con otros dos soldados de mal andar, y seguimos los tres el camino, determinados a morir antes que dejarnos prender. Llevábamos nuestros caballos, armas blancas y de fuego y la alta providencia de Dios. Seguimos la cordillera arriba, por subida de más de treinta leguas, sin topar en ellas, ni en otras trescientas que anduvimos, ni un bocado de pan, y rara vez agua; algunas yerbezuelas y animalejos y tal o cual raizuela de que mantenernos, y tal o cual indio que huía. Hubimos de matar uno de nuestros caballos y hacerlo tasajos; pero hallémosle sólo huesos y pellejo; y de la misma suerte, poco a poco y caminando, fuimos haciendo de los otros, quedándonos a pie y sin podernos tener. Entramos en una tierra fría; tanto, que nos helábamos. Topamos  dos ombre arrimados a una peña, y nos alegramos. Fuimos a ellos, saludándolos antes de llegar y, preguntándoles que hacían allí, no respondieron. Llegamos allá, y estaban muertos; helados, las bocas abiertas, como riendo, y causonos eso pavor.
Pasamos adelante, y la noche tercera, arrimándonos a una peña, el uno de nosotros no pudo más, y expiró. Seguimos los dos, y el día siguiente, como a las cuatro de la tarde, mi compañero, llorando, se dejó caer sin poder más andar, y expiró. Hallele en la faltriquera ocho pesos; sin ver adónde, proseguí mi camino, cargado del arcabuz y del pedazo de tasajo que me quedaba, esperando lo mismo que vi en mis compañeros. Ya se comprenderà mi aflicción, cansado, descalzo y lastimados los pies. Me arrimé a un árbol y lloré, y pienso que fue la primera vez que lo hice; recé el rosario, encomendándome a la Santísima Virgen y al glorioso San José, su esposo. Descansé un poco, volvime a levantar y a caminar, y parece que salí del reino de Chile y entré en el de Tucumán, según el temple que reconocí.

Iniziai a camminare lungo la fascia costiera, incontrando molte difficoltà e scarsità d’acqua, di cui quella zona era completamente priva. Lungo la strada m’imbattei in due soldati male in arnese, e continuammo in tre il cammino, decisi a morire piuttosto che farci catturare vivi. Avevamo con noi i nostri cavalli, armi bianche, e da fuoco, e l’alta provvidenza di Dio. Proseguimmo sull’alto della cordigliera, avanzando per oltre trenta leghe senza trovarvi mai, nemmeno nelle altre trecento che percorremmo, un boccone di pane e rare volte l’acqua; alcune erbacce, piccoli animali, poche radici con cui sfamarci, e qualche indio m' fuga. Dovemmo sopprimere uno dei cavalli e farne carne secca, ma era solo, pelle e ossa. La stessa sorte, man mano che andavamo avanti, toccò pure agli altri; e noi restammo a piedi ed esausti. Entrammo. in una zona fredda, tanto fredda che gelavamo. Io Incontrammo due uomini appoggiati ad una roccia, e ce ne rallegrammo. Gli andammo m'contro, salutandoli prima di avvicinarci e chiedendogli cosa facessero lì, ma non risposero. Giunti davanti ad essi, ci accorgemmo che erano morti: congelati, le bocche aperte come se ridessero, e questo ci atterrì.
Andammo avanti e la terza notte, appoggiandosi a una roccia, uno di noi non ce la fece più, e morì. Procedemmo in due, il giorno dopo, pressappoco alle quattro del pomeriggio, il mio compagno piangendo si lasciò cadere a terra sfinito, senza poter più camm1n'are, e spirò.
Gli trovai in tasca otto pesos; senza neppure veder dove andavo, continuai il mio cammino, carico solo del mio archibugio e del pezzo di carne secca che mi restava; aspettando lo Stesso destino dei miei compagni. Penso che si capirà la mia angoscia, stanco, scalzo e i piedi tutti piagati. Mi accostai ad un albero e piansi, credo per la prima volta in vita mia; recitai il rosario, raccomandandomi alla Santissima Vergine e al glorioso san Giuseppe suo sposo. Riposai un poco, poi mi rialzai e ripresi a camminare: pare che uscii dal regno del Cile ed entrai in quello di Tucumán, lo capii dal paesaggio.

Catalina de Erauso, (1929 [1625-26]) La historia de la monja alférez. Escrita por ella misma, é ilustrada con notas y documentos, Paris, En La Imprenta de Julio Didot, 38-40. Trad. it. di Lucrezia Panunzio Cipriani (1991), Storia della monaca alfiere scritta da lei medesima, Palermo, Sellerio Editore, 49-51.

Le majestueux Kha Karpo dressant haut dans le ciel clair la masse de ses glaciers bleuis par la pleine lune m’apparut, ce soir-là, non comme le farouche gardien d’une barrière infranchissable, mais plutôt tel qu’une déité vénérable et bienveillante debout au seuil des solitudes mystiques, prête à accueillir et à protéger la voyageuse, quelque peu téméraire, que son amour du Thibet y ramenait […].
De l’endroit où nous étions arrivés nous dominions de très haut la vallée à l’entrée de laquelle se trouvait Londré. Elle était absolument déserte et couverte d’arbustes épineux formant d’épais fourrés; quelques éclaircies y laissaient entrevoir la petite rivière que nous avions traversée le matin. Un sentier de chèvre, partant à nos pieds, dégringolait la pente presque à pic, conduisant
de la route vers cette jungle solitaire […].
La Dokar la  se dresse maintenant devant nous, découpant une impressionnante silhouette, sur un ciel gris crépusculaire. C’est une molle dépression dans une muraille cyclopéenne dont l’arête aiguë s’affaisse, à cet endroit, à la façon des câbles tendus, à travers les rivières, pour servir de pont. Le fait qu’elle marque le seuil de la région défendue, ajoute pour nous à la sévérité de son aspect […].
Au col lui-même et sur les crêtes voisines, flotte un nombre exceptionnellement grand de drapeaux portant des inscriptions mystiques. La faible lumière du jour, décroissant rapidement, prête à ceux-ci l’apparence d’êtres vivants, belliqueux et menaçants. On dirait autant de soldats escaladant les cimes, barrant la frontière, prêts à attaquer le voyageur téméraire qui osera s’aventurer sur la route de la cité sacrée […].
Dans un cadre fait de plusieurs chaînes de montagnes étagées et couvertes de forêts, un pic du Kha-Karpo se dressait, gigantesque, tout blanc, éblouissant, son sommet pointant droit dans le lumineux ciel thibétain […].
Nous nous trouvions dans un défilé étroitement resserré entre des montagnes gigantesques de rocs noirâtres ne laissant entrevoir, à leur sommet, qu’un mince ruban de ciel. En dépit de son aspect austère et sauvage, le site n’avait rien de triste ni d’effrayant. Il en émanait une sorte de paix grave due, peut-être, à l’influence des images peintes ou gravées qui décoraient les parois de ce sombre corridor […].
Vers le soir nous franchîmes un col dont l’altitude est d’environ 2200 mètres et, de là, descendîmes par un large chemin poussiéreux coupé à travers une chaîne de montagnes blanchâtres qui me rappelèrent celles du Kansou, dans la Chine septentrionale.

Il maestoso Kha Karpo, innalzando nel cielo chiaro la massa dei suoi ghiacciai resi blu dalla luna piena, non mi sembrò quella sera il feroce guardiano di una barriera invalicabile quanto piuttosto una divinità venerabile e benevola ritta sulla soglia delle solitudini mistiche, pronta ad accogliere e a proteggere la viaggiatrice, un poco temeraria, condotta lì dal suo amore per il Tibet […].
Il luogo dove eravamo arrivati dominava dall’alto la valle alla cui entrata si trovava Londré. Era assolutamente deserta, coperta da folti roveti di arbusti spinosi; qualche diradamento lasciava intravedere il fiumicello che avevamo attraversato al mattino. Un sentiero per capre, che partiva ai nostri piedi, scendeva a precipizio e dalla strada portava verso questa giungla solitaria.
Il Dokar si innalza ora di fronte a noi, disegnando una sagoma impressionante sullo sfondo di un cielo grigio crepuscolare. È un morbido avvallamento in una muraglia ciclopica il cui crinale aguzzo cede, in questo punto, come i cavi tesi che servono da ponti al di sopra dei fiumi. Il fatto che stia lì a indicare la soglia della regione proibita, aggiunge severità al suo aspetto […].
 Sul colle stesso e sulle creste vicine sventola un numero enorme di bandiere con iscrizioni mistiche. La debole luce del giorno, che cala rapidamente, dà a queste bandiere l’aspetto di esseri viventi, bellicosi e minacciosi. Si direbbero soldati che scalano le cime, sbarrando la frontiera, pronti ad attaccare il viaggiatore temerario che osasse avventurarsi sulla strada della città santa […].
In un quadro di varie catene montagnose disposte a gradini e coperte di foreste, un picco del Kha Karpo si innalzava gigantesco, bianchissimo, abbagliante, con la sua cima che si ergeva dritta nel luminoso cielo tibetano […].
Ci trovavamo in una gola strettissima, tra montagne gigantesche di rocce nerastre che in cima lasciavano intravedere solo una piccola striscia di cielo. Nonostante il suo aspetto austero e selvaggio, il luogo non aveva nulla di triste né di spaventoso. Emanava una specie di pace solenne, dovuta forse all’influsso delle immagini dipinte o incise che decoravano le pareti di questo buio corridoio […].
Verso sera, valicammo un colle di circa 2.200 metri di altezza e da lì, attraverso un largo sentiero polveroso tagliato attraverso una catena di montagne biancastre che mi ricordavano quelle del Kansu, scendemmo nella Cina settentrionale.

Alexandra David Néel (2011 [1927]), Voyage d’une Parisienne à Lhassa. À pied et en mendiant de la Chine à l’Inde à travers le Thibet, Paris, Plon, 26, 29, 60, 68, 76-77, 99. Trad. it. di Emilia Gut (2011), Viaggio di una parigina a Lhasa, Roma, Voland, 38-39, 41, 61-62, 66, 89..

The Mountains – grow unnoticed –
Their Purple figures rise
Without attempt – Exhaustion –
Assistance – or Applause –
In Their Eternal Faces
The Sun – with just delight
Looks long – and last – and golden –
For fellowship – at night –

Le montagne di nascosto crescono –
le loro forme di Viola
senza sforzo si elevano – stanchezza –
battimani – o soccorso –

Nei loro volti eterni
con giusta gioia – il Sole
a lungo – d’oro – cerca –
compagni – la notte –

Emily Dickinson, 757, c. 1863, 1929, in in Ead., The Complete Poems, edited by Thomas H. Johnson, Boston-Toronto, Little Brown and Company, 1976, 371. Trad. it. di Rina Sara Virgillito (2002), in Emily Dickinson, Poesie, Milano, Garzanti, 43.

Trine di betulla
nella valle
i pensieri –
ma ieri
quando soli erravamo
sulla nuda montagna –
il taglio
delle rupi più eccelse
era il disegno
della mia forza – in cielo.
E non parlare di rovina
tu cuore –
fin che uno spigolo nero a strapiombo
spacchi l’azzurro
e una corda s’annodi all’anima
bianca
come le ossa del falco
che sul torrione più alto
regalmente ha voluto
morire.

8 settembre 1933.

Antonia Pozzi (2010), La roccia, in Ead., Poesia che mi guardi, a cura di Gina Bernabò e Onorina Dino, Roma, Luca Sossella Editore, 205.

Es traf alles so ein - nur hatten sie, die Freunde in Kabul, vergessen, mir vom Lataband zu sprechen, einem bedeutenden Pass, der höher führt und schwieriger, gefährlicher, dramatischer its als der berühmten Khyber-Pass. Ich werde ihn nie vergessen. Vielleicht ist es nur die unheilbare Wunde des Abschieds, jene schwer zu beschreibende, gleichsam inhaltslose, nur dem blinden und tauben Mut gewidmete Stunde; vielleicht ist es jener letzte, der unwiderrufliche und schon vergangene Augenblick, als der freundliche Alte im Turban das Tor aufstieß, und ich mir sagte: Du musst das Steuer des Wagens fest in der Hand halten – in der Hauptstrasse von Kabul ist der Lehm aufgeweicht, fußtief –, du musst noch Benzin fassen, den Weg finden, du musst, musst …, und mich dann wiederfand auf der  Heerstrasse Alexanders, und keine Träne vergoss, keinen Blick rückwärts wandte. Der Lataband war eine Bergödnis, in totes Licht getaucht, mit einer Unzahl, Karawanen. Ob es nützlich ist, diesen Weg zurückzulegen, Meile um Meile, und so weiterzuleben, unwiderruflich? […]
Da lag, am Ende kühner Kurven, Indien. In der unermesslichen Ebene strömten der Indus und der Kabul-Fluss zusammen, am Rande der Strasse knieten betende Männer. Anhalten, einen blick tun – wo ist das Versprochene Land? Trauer, Rührung ohnegleichen – und ich erinnere mich an die in ehernes Licht getauchten Zinnen des Hindukusch.
Ich werde sie nie wiedersehen.  

Tutto andò come previsto, ma i miei amici a Kabul avevano dimenticato di parlarmi del Lataband, un passo importante, più alto, più difficile e pericoloso del famoso Khyber. Non lo dimenticherò mai. Forse è solo la ferita incurabile dell’addio, quel momento difficile da descrivere, quasi vuoto, unicamente consacrato al coraggio cieco e sordo; forse è quel momento ultimo e irrevocabile e già passato in cui il gentile vecchio con il turbante mi aprì la porta della città dicendomi: devi tenere saldo il volante […] e poi mi ritrovai sulla rotta dell’esercito di Alessandro senza versare nemmeno una lacrima, senza guardare mai indietro. Il Lataband era deserto, montagnoso, immerso in una luce sepolcrale, attraversato da innumerevoli carovane. Sarà utile percorrere questa strada, miglio dopo miglio, e continuare a vivere così, irrevocabilmente? […].
Ma ecco, al termine di curve vertiginose, apparire l’India. In una pianura sterminata l’Indo e il Kabul si incontrano, sul bordo della strada alcuni uomini sono inginocchiati a pregare. Fermarsi, gettare uno sguardo – dov’è la terra promessa? Tristezza, emozione senza pari - e ricordo le creste dell’Hindu Kush immerse in una luce di bronzo. Non le rivedrò mai più.

Annemarie Schwarzenbach (2008), Alle Wege sind offen: die Reise nach Afghanistan, 1939/1940, Basel, Lenos Verlag, 103-104. Trad. it. Tina d'Agostini (2015), Tutte le strade sono aperte. Viaggio in Afghanistan. 1939-1940, trad. it. di Tina d’Agostini, Milano, Il Saggiatore, 119- 120.

Più si saliva, più il paesaggio era piacevole e ameno. Non erano più le montagne riarse, irte di rovi e di rocce, sulle quali avevo penato attorno alla piana di Salerno. Erano dolci pendii, boschetti ridenti, pascoli molli ai piedi di un tappeto. Una vera gita di piacere. Torquato si orientava bene e la marcia era regolare e abbastanza rapida. Il tuono del cannone si affievolì fino a svanire. Non s’incontrava anima viva.
Via via che s’avvicinava la sera, allungavamo il passo. In quelle montagne deserte non c’era speranza di ritrovare un rifugio. Adesso faceva freddo, e minacciava di piovere.
Calò la notte, ma dove fermarsi? Continuammo la marcia cautamente, sempre senza sentiero. Ora, pioveva a secchi. Lontano, mi parve di udire abbaiare un cane.

Joyce Lussu (2008 [1944]), Fronti e frontiere, in Ead., Opere scelte, a cura di Silvia Ballestra, Ancona, Il lavoro editoriale, 131.

Des monts qu’on appellerait ailleurs des collines, le Mont Cassel, relayé au nord par la quadruple vague des monts de Flandre, le Mont-des-Cats, le Mont Kemmel, le Mont-Rouge, et le Mont-Noir dont j’ai une connaissance plus intime que des autres, puisque c’est sur lui que j’ai vécu enfant, bossent ces terres basses. Leur grès, leurs sablon, leur argiles sont eux-mêmes sédiments devenus peu à peu terre ferme; de nouvenes poussées des eaux ont ensuite érodé autour d’eux cette terre à son niveau d’aujourd’hui : leurs crêtes modestes sont des témoins. Ils datent d’un temps où le bassin de la Tamise se prolongeait vers la Hollande, où le cordon ombilical d’était pas encore coupé entre le continent et ce qui allait devenir l’Angleterre. A d’autres points de vue aussi, ils témoignent. La plaine autour d’eux a été impitoyablement défrichée par les moines et les vilains du Moyen Age, mais les hauteurs, plus difficilement convrties en terres arables, tendent à conserver davantage leurs arbres. Cassel, certes, a été dénudé de bonne heure pour faire place au camp retranché où se réfugiait la tribu attaquée par une tribu voisine, et plus tard par les soldats de César. La guerre, à intervalles presque réguliers, a battu sa base comme autrefois les marées de la mer. Les autres buttes on mieux gardé leurs futaies, sous lesquelles à l’occasion se réfugiaient le bannis. Le Mont-Noir en particulier doit son nom aux sombres sapin dont il était couvert avant les futiles holocaustes de 1914. Le obus ont changé son aspect de façon plus radicale qu’en détruisant le château construit en 1824 par mon trisaïeul. Les arbres peu à peu son revenus, mais, comme toujours en pareil cas, d’autres essences on pris la relève : les noirs sapins pareils à ceux qu’on voit à l’arrière-plan des paysage de peintres allemand de la Renaissance ne prédominent plus. Il est vain d’imaginer les déboisements, et, s’il en est le reboisements, de l’avenir.

Monti che altrove si chiamerebbero colline, il Mont Cassel cui subentra più a nord la quadruplice ondulazione dei monti di Fiandra: il Mont-des-Cats, il Mont Kemmel, il Mont-Rouge e il Mont-Noir, questo conosciuto da me più intimamente degli altri poiché su di esso sono vissuta bambina, movimentano quelle terre basse. Le loro arenarie, le loro sabbie, le loro argille sono anch’essi sedimenti divenuti a poco a poco terraferma; nuovi assalti delle acque hanno in seguito eroso intorno a essi quella terra fino al suo livello odierno: le loro creste abbastanza basse ne sono testimonianza. Essi risalgono a un tempo in cui il bacino del Tamigi si prolungava verso l’Olanda e il cordone ombelicale fra il continente e quella che sarebbe divenuta l’Inghilterra non era stato ancora tagliato. La loro testimonianza vale pure per altri aspetti. La pianura che li circonda è stata inesorabilmente dissodata dai monaci e contadini nel Medio Evo, ma le alture, le più difficili da trasformare in terre coltivabili, tendono a conservare più a lungo i loro alberi. Il Mont Cassel, è vero, è stato denudato molto presto per fare posto al campo trincerato in ci si rifugiava la tribù attaccata da una tribù vicina e più tardi dai soldati di Cesare. La guerra, a intervalli quasi regolari, ha percosso la sua base come in altri tempi facevano le maree. Le alture hanno conservato meglio i loro boschetti, nei quali all’occasione si rifugiavano i proscritti. In particolare il Mont-Noir deve il suo nome ai neri abiti che lo ricoprivano prima dei futili olocausti del 1914. Le cannonate hanno trasformato il suo aspetto in modo più radicale che non la distruzione del castello ricostruito nel 1824 dal mio trisavolo. Poco a poco gli alberi sono ricresciuti, ma, come sempre in simili casi, altre specie hanno preso il sopravvento: gli abeti neri, simili a quelli che si vedono negli sfondi dei paesaggi di certi pittori tedeschi del Rinascimento, non predominano più. È impossibile immaginare i disboscamenti e, se mai vi saranno, i rimboschimenti del futuro.

Marguerite Yourcenar (1977), Archives du Nord, Paris, Gallimard, 16-17. Trad. it. di Graziella Cillario (2008), Archivi del Nord, Torino, Einaudi, 7-8.

    La montagna di allume
                           esala
                    il suo notturno
                               potere
                         Stai nella grotta
                                iridescente
                             come l’animale in fuga
                                          dal tenebroso lume
                                                     che lo rintana e addentra
                                                                e genera e
                                                                           ribatte

Rina Sara Virgillito (1991), Isola di Vulcano, in Ead., Incarnazioni del fuoco, Bergamo, Moretti&Vitali, 163.

Pastori e agricoltori di montagna, i curdi d’inverno vivono a millecinquecento metri, ma d’estate salgono a tremilacinquecento: essi sono fedeli alle montagne. Avendo accettato l’Islam già nel IX secolo, sono fedeli a quell’Islam. Parola di curdo è parola per sempre, cavolo. Tra i curdi un convertito è un vigliacco o un voltagabbana. Prima di esser fedeli a qualcosa bisogna essere fedeli a se stessi.
L’autobus va su in un’aria sempre più sottile. A tremila metri l’ossigeno non è quel gas che in città si inala distrattamente,  carbone e benzene compresi. L’apparato respiratorio deve concentrarsi, inalare l’aria come si gusta un vino pregiato, e l’ossigeno diluito è, infatti, vagamente inebriante. Non soffrendo il mal di montagna, comincio a sentirmi anch’io privilegiata e aristocratica, come i curdi e i ceceni. Qui nascono e crescono uomini liberi.
Liberi ci rende anche il mare, dove però i contatti svolgono assai più pianamente. Tutti i marinai hanno qualcosa in comune, che è appunto il mare. E le genti di montagna hanno pure qualcosa in comune, che è il cielo vicino.

Maria Silvia Codecasa (2005), Metà cielo, mezza luna, Firenze, Vallecchi, 32.